Editoriale: c'era una volta e c'è oggi. Un condottiero, un'anima e una storia da scrivere...
C'era una volta un'armata blasonata e apparentemente invincibile, dotata di cannoni illusoriamente devastanti da scatenare contro mosche umili e laboriose, che aveva come unico obiettivo il dominio di un campionato e che invece finì quasi per essere sterminata. C'è oggi un manipolo di uomini valorosi, sul campo insormontabili, armati di grinta e organizzazione da utilizzare contro avversari illustri, e che ha come unico scopo quello di guadagnarsi il rispetto della piazza. Due racconti, due epopee, una conclusasi con un finale quasi tragico, l'altra che attende ancora di essere interemante scritta, ma che lascia intravedere segnali positivi ed incoraggianti grazie soprattutto all'acume del suo condottiero, un tecnico che è ritornato nella sua terra dopo un viaggio catartico attraverso la lucania e che adesso è pronto per affermarsi anche in patria.
Lasciamo stare l'epica e le favole e torniamo con i piedi per terra perchè è proprio questa una delle doti del gruppo creato da Raffaele che contro la Juve Stabia, così come nelle uscite precedenti, ha dimostrato di mantenere sempre alta la tensione, di giocare col coltello fra i denti e di scendere in campo con l'umiltà di chi non è il favorito ma sa che la sua pelle, rossazzurra, è cara e non deve essere oltraggiata dalla mancanza di impegno. Concetti chiari e semplici per una squadra che vuole, in tutti i sensi, crescere dal basso, cercando di creare solidità e sicurezza nel reparto arretrato, reso inviolabile da tre pilastri chiamati Tonucci, Claiton e Silvestri, davanti ad un Martinez che ieri ha tirato fuori dal cilindro quella parata che difficilmente dimenticherà per i prossimi dieci anni. Un solo gol subito (su rigore) e pochissime occasioni concrete concesse in 270 minuti, un dato che deve fare riflettere e che pone in risalto non solo il lavoro della linea a tre, ma anche la fase di non possesso dettata da tutta la squadra, a partire dal lottatore Sarao per arrivare al modo in cui è entrato in campo Reginaldo.
Sotto il profilo tattico si inizia a vedere la mano di Raffaele che già in conferenza stampa sembrava scalpitare per poter schierare il tridente, consapevole che, con Biondi ed Emmausso in campo, il passaggio al 3-5-2 poteva essere naturale. E così è stato. Dopo un buon primo tempo giocato bene dal Catania sfruttando l'ampiezza, quando nella ripresa la Juve Stabia si è resa pericolosa tra le linee con Fantacci, ecco la mossa di Raffaele: Biondi in mediana, 3-5-2 e maggiore densità in mezzo al campo. L'antidoto perfetto, la contromossa che ha riequilibrato la squadra ma continuando ad essere se stessa. Eccolo un altro concetto importante: l'anima. Dal primo al novantesimo minuto il Catania ha giocato con intensità, dinamismo e voglia di offendere, poco importa se con un solo gol di scarto è stato concesso qualche spazio di troppo, ciò che il tecnico etneo voleva vedere era l'embrione di identità, quella costruzione che avviene tramite passaggi determinanti, magari come quello di Lentini.
Potremmo scrivere ancora dei singoli, della quantità e attenzione della cerniera di centrocampo con Rosaia e Welbeck, della corsa di Albertini e Zanchi, o dell'errore da matita blu di Pecorino (cena offerta a Martinez che ha reso cento volte meno pesante quel gol sbagliato), ma sarebbe superfluo. Ci sarà il tempo probabilmente per l'elogio individuale, oggi è predominante il plauso all'atteggiamento generale di un gruppo che nonostante i quattordici volti nuovi sembra già coeso e armonioso. Ovviamente è presto e, come sempre, la tempra della compagine si vedrà nel momento più duro, che inevitabilmente arriverà, ma per adesso è giusto, dopo tanta amarezza, che la piazza rossazzurra sorrida e possa godere in pace.