L'Editoriale: Catania cosa ti hanno fatto.
La storia rossazzurra massacrata e umiliata
Non esiste sibilo, solo silenzio spettrale. Il classico nero che mette paura, inquieta e rende difficile qualsiasi pensiero anche il più puro. Di puro però esiste solo il ricordo, quelle immagini che scorrono forte dentro la mente, che unisce abbracci, figli, padri e amici. Che scalda i sedili di quelle macchine stracolme pronte ad andare in trasferta, di quelle soste l’autogrill piene di goliardia nell’agguantare in fretta qualsiasi cosa pur di non fare tardi all’appuntamento. Erba di casa mia il Cibali, poi Massimino, chiamatelo come volete ma per tutti era il vecchio gigante buono, pieno di toppe, ma intriso e empio di ricordi, sorrisi, pianti, urla e imprecazioni. Il Calcio Catania per tutti è una cosa seria se sei catanese “ca’nocca”, se dal primo momento quel codice fiscale indica il 351 e se il colore della tua stanza copre con il rossazzurro di maglie e sciarpe qualsiasi cosa.
Oggi fai fatica anche a piangere e sai perché? Perchè di lacrime dal 2015 ne hai versate tante, miste a rabbia e frustrazione. Inerte e indifeso nell’osservare come altri macchiavano o mortificavano ciò che per te è più prezioso. L’inferno dell’umiliazione delle manette e delle gare truccate di Pulvirenti, dopo che lo stesso saltando come una molla impazzita sempre dentro il campo era il tuo presidente dei record, dell’Inter umiliata, del Catania definito il piccolo Barcellona, del Catania ammazza grandi e di quel Massimino che grondava lava di passione. Il primo tradimento fu quello, macchiando tutto, come la tazzina di caffè che sporca la camicia bianca o la canottiera della indigesta “Risorsa argentina” Pablo Cosentino.
Nonostante questo, nonostante la rabbia, al primo vagito di reazione eri sempre li, a riempire i settori dello stadio, a correre verso il biglietto a piangere sulla traversa di Lodi, cazzo non ha mai sbagliato una punizione, ad imprecare sul rigore di Mazzarani e nel respirare la purezza del gladiatore Lucarelli. Il recente è fatto di scelte sbagliate, tutte quelle di Lo Monaco tornato troppo appassito per ruggire soluzioni dinanzi al disastro finanziario nel tentativo di pescare allenatori illuminati o leoni in campo. Nessuno credeva in nessuna rinascita parliamoci chiaro, ci speravi perchè al cuore non si comanda, ma il fantasma della scomparsa era sempre dietro l’angolo anche dinanzi e soprattutto all’armata Brancaleone Sigi. Un covo di bugie Sigi, false promesse, incarichi non dati, vedi Pagliara, diavoli spacciati per santi inesistenti e principi del foro dalla bocca larga pronti al festival del microfono, dalle vetrine facili e dalle piazzate urlate appoggiati da sinistri affabulatori del popolo che ignaro speranzoso osservava. Inadeguatezza allo stato puro, con Tacopina, la stella cometa, che mestamente dopo otto mesi non si posava sulla capanna del Catania perché i Re Magi della Sigi o della “Fata Turchese”, citazione sublime, in maniera avida con un tira e molla di percentuali e sotterfugi perdevano l’unica speranza di guadagno per loro e futuro per la Catania sportiva. Tutti incastrati, insomma, e derelitti nello scavare la fossa del destino chiamato ricapitalizzazione. Pane duro, sasso per i denti dell’illusione e regalo fuori luogo e grottesco il 22 dicembre chiamato Fallimento della 11700. I soloni dell’imprenditoria, che non solo entrano negli annali del libro nero della storia rossazzurra e per di più perdono pure denaro.
La devastazione tragicomica, o meglio il film horror non solo vede la vittima pugnalata da 54 milioni di debiti di Pulvirenti, dallo staccare l’ossigeno di Sigi, ma anche l’ultimo respiro vede un medico da strapazzo come Mancini. La disperata Catania attaccata al pallone che rotola spera anche nell’impossibile che chi non ha mai fatto affari riesca in un solo colpo a diventare il presidente del futuro. Ed invece dinanzi al medico di Pollon Cha Cha Cha il Tribunale si ferma, osserva, valuta e rispedisce tutto al mittente della morte. Umiliante per tutti soprattutto per gli eroi di questo naufragio Pellegrino, Baldini e il suo staff, i giocatori mai domi o tutta la dirigenza rimasta a lottare.
Oggi è difficile elaborare la perdita, il Catania è scomparso, è morto. E’ franato tutto e il fumo delle macerie è denso e cupo. Il panegirico sociale sulla situazione della città di Catania è sotto gli occhi di tutti e lo spessore ridotto della classe politica odierna etnea e il suo silenzio cittadino, regionale o nazionale dovrà rispondere del marasma creato e non tutelato. Implosione devastante. Adesso il silenzio è l’unica arma, i comunicati sono solo dita consumate dei portaborse dei politici, inchiostro di penna sbiadito o vetrina ai microfoni che farebbe incazzare anche Santa Rita.
Adesso bisogna respirare, soprattutto piangere, ma non bisogna sospirare col naso, a bocca aperta, il tappeto in cui il Catania è stramazzato a terra. Orgoglio e voglia, ma bisogna rialzarsi, alzare la guardia e invitare l’avversario destino a combattere, perché se è vero che il Catania non muore mai, allora Deve risorgere, ma con criterio, progetto e rilancio, ma soprattutto senza sciacalli da scacciare con forza. Uscire dalla mediocrità dalla quale nessuno può sentirsi escluso.
Bisogna tornare in piazza, bisogna urlare la sete dell’arsura, ma basta acqua torbida e ricca di infetti germi.
Non è populismo invocare un Piano B, un piano di rilancio per la Catania sportiva. Tutto questo è doveroso e da applicare fin da subito perché giugno è troppo vicino. Siamo una città senza calcio, adesso sveglia Catania, devi rialzarti, devi reagire. Risorgere dalle ceneri, nessuna ipocrisia, che ognuno si svegli e non faccia l’orso Balù in letargo costante. Metta la faccia della responsabilità di non dire di fare ma di sporcarsi le mani in mezzo a sta merda materializzata. Oggi le lacrime solcano il volto, si accarezza la sciarpa o la maglia che è stata simbolo e storia. Nessuno mai dimenticherà questi giorni e proprio tutto questo deve consegnare la costruzione futura per riabbracciare quel campo, quello stadio e continuare a gridare Catania Ti Amo.