Il derby dei catanesi
I 24mila chilometri (e mezzo) che separano Catania e Tonga non possono alterare la linea temporale, se non con il fuso orario. Stiamo invecchiando, o crescendo, a seconda dei casi: inutile negarlo e ignorarlo. Quando il destro di Giuseppe Mascara baciava il pallone spedito alle stelle, ammutolendo il Barbera e i tifosi rossazzurri a casa (con sentimenti opposti), Kevin aveva appena compiuto 10 anni, Emanuele non ancora 8. Quando al Massimino Andujar faceva a scazzottate con Barreto, Kevin 14, Emanuele non ancora 12. Segno tangibile dello scorrere ineluttabile degli anni.
Il fatto è che al di là del discorso matricola, il derby contro il Palermo a Catania fissa i fondamentali dell'essenza calcistica: definisce le radici di un popolo e trascende gerarchie. Più semplicemente, te lo porti dietro come un eterno appuntamento con la storia. In questo "non-calcio", in assenza di catanesi al Barbera, e in loro rappresentanza, Biondi e Pecorino porteranno in campo il sogno di ogni bambino nato con gli ideali e lo spirito del vulcano: perché per chi ama questo sport, e per un tifoso, non c'è cosa più bella di questa partita. Perché, sì, il Covid e il lockdown hanno provato a rubare un po' della magia all derby, ma fortunatamente non ci sono riusciti.
Il filo sottile, ma resistente, del destino ha rafforzato ogni genere di legame ta passato e presente, dando vita alla più classica delle trame che rendono giustizia a questo sport: non si sa se dal primo, non si sa se effettivamente, ma questa sarà la gara di Kevin e di Emanuele. E di Giuseppe: sì, di Giuseppe Raffaele. Sciarpa e maglia rossazzurra, "Jolly Componibili" stampato al centro e un segno di indefinibile spensieratezza legata ad un ricordo indelebile, in una di quelle foto che ti rimangono in testa fino all'inizio della partita per eccellenza. "Il derby dei catanesi": di nascita, di fede, di spirito. E, in un certo senso, grazie a loro e con loro al Barbera ci saremo tutti noi.